top of page
BLOG
di cani, padroni e altri animali
​

A spasso con Zelda

logo_zelda_edited.jpg
  • 2 feb
  • Tempo di lettura: 1 min

Di notte, in una piccola cuccia illuminata dalla luna, c’era una mamma labrador in attesa dei suoi cuccioli.

Ma una bella domenica mattina, quando si levò il sole, caldo e splendente, dalla cuccia - clack! - uscì una piccola labrador affamata…

Subito si mise alla ricerca di cibo.

Lunedì mangiò una pantofola ma non riuscì a saziarsi.

Martedì mangiò due scarpe ma non riuscì a saziarsi.

Mercoledì mangiò tre rotoli di carta igienica ma non riuscì a saziarsi.

Giovedì mangiò quattro guanti di lana ma non riuscì a saziarsi.

Venerdì mangiò cinque calzini ma non riuscì a saziarsi.

Sabato mangiò una cacca, un vaso di ceramica, una palla di gomma, una bottiglia di plastica, un fazzoletto di carta, una carcassa di uccello, una sedia, un tappeto, un ombrello e un echinocactus grusonii.

Alla sera aveva mal di pancia.

Il giorno dopo era di nuovo domenica. E la labrador si mise a mangiare il torsolo di un ananas.

Adesso non era più affamata, era proprio sazia e non si sentiva tanto bene.

Allora fu portata dal dottore, chiamato veterinario, e rimase là dentro per più di due ore. Poi, dopo che il suo padrone ebbe strisciata la carta di credito, si sentì subito meglio e…

… era diventata una labrador contenta.


(grazie a The Very Hungry Caterpillar di Eric Carle)

  • 19 dic 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Quei giorni d'autunno in cui piove che anche Zelda dal suo cuscino ti guarda di sbieco con un solo occhio, giusto per capire se hai davvero intenzione di uscire con lei.

Tu sei lì in piedi che tentenni, tra l'esco e il non esco, preoccupato solo che, se decidi di non portarla fuori ora attendendo un miglioramento meteo, al tuo rientro potresti trovarla che scava sul soffitto o il lampadario ridotto in scaglie di metallo di un centimetro per uno.

Quindi decidi di portarla.

Cerchi le scarpe resistenti, l'impermeabile, i pantaloni antipioggia, la cuffia, i guanti e anche l'ombrello. Sotto sei vestito come un normale giorno di lavoro in redazione. Sopra come se dovessi affrontare Milton, l'uragano.

Nel giro di pochi metri, Zelda si trasforma in un cane con le squame come se stesse nuotando nel Potomac. Quando è ora di rientrare non stai più portando un cane anatra al guinzaglio ma una pozzanghera, un intruglio di acqua, fango, mozziconi, cicche calpestate, tovaglioli di carta marci, scontrini lerci, residui di copertoni.

Nella lobby del palazzo il portiere vorrebbe ucciderti e buttarti nella bocca della caldaia condominiale mentre Zelda lascia una traccia marronenera gocciolando dall'ingresso alle porte dell'ascensore. Per non parlare della chiazza che lascerà nell'ascensore e che lentamente si allargherà sulla tappezzeria che lo riveste.

Avete affrontato indenni l'uragano Milton, ora siete davanti alla porta di casa. Prima di entrare, devi asciugare Zelda con un asciugamano grande da doccia, la frizioni, la strigli, mentre la pioggia accumulata sul tuo impermeabile ricade a gocce su di lei, dando avvio a una specie di ciclo perpetuo dell'acqua. Ripassi con un secondo asciugamano perché non le venga la sindrome della coda rotta. In questi frangenti ti ricordi le parole del tuo veterinario isterico che pretendeva tu comprassi un cappotto per Zelda quattro mesi fa, in piena estate.

Ora puoi toglierti tutto quello che hai addosso. Lo metti ad asciugare, ti cambi ed esci per andare in redazione.


Quei giorni d'autunno in cui piove, quando porti A. a scuola e vai a prendere A. all'uscita da scuola, organizzi gli spostamenti per permettere loro di partecipare alle attività extra del pomeriggio, lo sport, la musica, il teatro, affronti la tua normale giornata di lavoro, pianifichi gli impegni dei giorni successivi, fai la spesa, torni a casa, prepari la cena e a fine giornata siete tutti riuniti attorno al tavolo e A. chiede:

«E tu che cosa hai fatto oggi?»

E tu fai: «Oh, ho portato fuori Zelda».

  • 17 dic 2024
  • Tempo di lettura: 2 min

Sulla carta uscire per una passeggiata in centro con il cane può sembrare rilassante.

Fai due passi, guardi due vetrine e intanto Zelda esce e si tiene impegnata con i ferma, i seduta e gli andiamo.

Tutto funziona molto bene quando sei a casa e immagini come andrà la passeggiata.

Il guaio è che anche gli altri possessori di cani pensano di fare la tua stessa passeggiata.


I cani fanno i cani. Il problema molto spesso sono i padroni.

Una povera signora piuttosto avanti con l'età è stata trascinata dal chihuahua asmatico per tutto il corso per venire ad annusare Zelda e tentare infine di azzannarla. Una ragazza ha preteso, sulla base di un lignaggio nobiliare che avrei dovuto intuire dall'espressione del suo bassotto, di passare esattamente nel punto in cui stavamo passando noi, facendo attorcigliare i guinzagli. Un tizio si è avvicinato con un segugio e si è infilato tra me e Zelda, mentre cercavo di tenerla seduta. E una volta lì mi ha fatto la domanda infallibile dell'esperto cinofilo: «Ma è maschio o femmina?».

Come se il genere del cane ne determinasse il comportamento sociale.

In quel caso la conversazione, invariabilmente, può andare solo in due modi: «Ah, allora no!» oppure «Ah, allora va bene.» Che chi l'ha detto che i cani dello stesso genere vadano tutti d'accordo? Cosa fanno, una alleanza mondiale dei cani maschi o delle cagne femmine? Posso assicurare di avere conosciuto cani a cui non andavano a genio tutti gli altri cani, eccetto uno che era pure di genere diverso.


«È maschio o femmina?», mi chiede infatti il tizio.

«È femmina.»

«Ah, meno male: il mio maschio. Allora vanno d'accordo.»

«No che non vanno d'accordo. Non vedi che sto cercando di tenerla ferma? Il tuo sarà pure maschio ma alla mia gli sta sui coglioni. Te ne vai, per favore?».


Più tardi, mentre cercavo di prendere un libro in alto sullo scaffale della libreria tenendo Zelda seduta al mio fianco, due genZ si sono avvicinati facendo gli ululati: «Che bella!», «Quanto ha?», «Come si chiama?»

«Si chiama Zelda.»

«Uh, come la principessa della saga.»

«No. Veramente come la moglie di Scott Fitzgerald!»

Vaga espressione di spaesamento sul loro viso.


Che fatica.

bottom of page